Le Pietà di Michelangelo

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Come il 400’ aveva visto Donatello un grande maestro per la scultura, anche il ‘500 avrà il suo: Michelangelo.

Michelangelo infatti nel 1488 inizia la sua formazione presso la Bottega del Ghirlandaio a Firenze, dove apprese l’arte del disegno, in seguito frequentando la corte medicea ebbe il modo e la possibilità di vedere, osservare, analizzare e studiare le opere di Donatello, in particolar modo il pathos e l’uso della tecnica dello stiacciato. Il contatto con la cortea medicea lo fece entrare in contatto con la filosofia neo-platonica ma sviluppò anche una religiosità intensa e tormentata. Tutte queste caratteristiche le ritroveremo nelle sue opere.

La Pietà è un tema artistico biblico che raffigura la Vergine con il corpo del Figlio senza vita tenuto sulle ginocchia dopo la Passione e la Deposizione. Questa iconografia trae le sue origini  dalla Vesperbild, cioè un tipo di scultura devozionale nata nel XIV secolo in Germania.

La Pietà Bandini – il nome lo si deve al suo primo acquirente, il banchiere fiorentino Francesco Bandini –  viene realizzata da Michelangelo in età matura  (1550-55) per la propria tomba ed è oggi custodita presso il Museo dell’Opera del Duomo a Firenze.

I personaggi rappresentati sono Cristo, la Madonna, la Maddalena e Giuseppe d’Arimatea che, secondo Vasari rappresenta un autoritratto di Michelangelo stesso. La struttura dell’opera è piramidale e presenta l’uso di panneggi, così come nella Pietà realizzata in età giovanile (1498-99) a Roma ,commissionatagli dal cardinale francese Jean de Bilhères e custodita presso la basilica di San Pietro nella Città del Vaticano,ciò manca nella Pietà Rondanini, realizzata tra il 1560 e il 1564 custodita al Castello Sforzesco di Milano.

Nella Pietà Bandini, la presenza della Maddalena e di Giuseppe d’Arimetea può portarci a pensare che quest’opera non sia una Pietà “pura” ma qualcosa tra la Pietà e il Compianto sul Cristo Morto, date le due differenti iconografie.

L’uso dei panneggi, tipici dell’arte classica, dona plasticità ai corpi, il busto del Cristo è torso così come le gambe sono ruotate e piegate, la resa anatomica è forte: i muscoli dell’addome sono ben scolpiti come quelli di braccia e gambe, il capo è piegato sulla destra e poggia sul volto di Maria la quale lo sorregge con le mani. Lo sguardo della Maddalena sembra rivolto al vuoto probabilmente perchè sconcertata da ciò che è accaduto o forse allo spettatore, quello della Vergine insieme all’espressione dei viso ci ricorda una madre addolorata e sofferente per il figlio mentre quello di Giuseppe d’Arimatea è rivolto alla Vergine ed è uno sguardo ricco di compassione per il dolore che sta affrontando. I panneggi e il modo in cui è rappresentato il corpo di Cristo danno dinamismo all’opera più di quanto possiamo osservare nella Pietà Rondanini, la quale appare decisamente più statica.

L’opera è tuttavia incompiuta, “non finito”, cioè la profonda suggestione tra forma, soggetto e proiezione psicologica dell’artista e fu in parte distrutta dal maestro nel 1555 quando, fuori di sé, decise di distruggere la statua prendendola a martellate.

Vasari illustra i tre motivi che spinsero Michelangelo a compiere questo gesto disperato: la durezza e le impurità del blocco di marmo, l’insoddisfazione tipica dell’artista e l’assillante insistenza di un servitore che lo incitava a finire l’opera. La vittima più importante dell’aggressione michelangiolesca fu la gamba sinistra del Cristo, scarpellata via dopo esser stata scolpita, ma anche le braccia delle figure vennero spezzate.

Per quanto il danno fosse grave, un suo allievo, Tiberio Calcagni ricostruì le parti dell’ opera distrutte.

La Pietà Rondanini è quella su cui Michelangelo tornerà per più di dieci anni, un po’ come Leonardo con la Gioconda, è l’ultima realizzata da Michelangelo ed anch’essa è caratterizzata dal “non finito”; questa Pietà, a differenze delle altre due, Michelangelo l’aveva concepita per sè, non gli era stata commissionata, non aveva committenti, era qualcosa che voleva tenere per sè, qualcosa di talmente intimo che voleva destinare al proprio sepolcro.

La struttura della Pietà Rondanini non è piramidale come negli altri due casi, la Vergine è alle spalle del Cristo e cerca con tutte le sue forze di non abbandonarlo alla morte, le gambe del Cristo possiamo notare che stiano cedendo e che il braccio sia abbandonato ma ad ogni modo non si “lascia andare”, non cade, osserviamo quindi la vittoria della vita sulla morte. Quest’opera, anche se non presenta panneggi, anche se la resa anatomica non è pari o superiore a quella della Pietà Bandini e alla prima Pietà e sia più semplice nella resa, e il Cristo non sia come “cullato” tra le braccia della Vergine, è un’opera estramemente profonda, che innalza lo spirito cristiano e “avvolge” lo spettatore che rimane in silenzio davanti a cotanta bellezza.

Riguardo la prima Pietà realizzata da Michelangelo, Vasari scrive: “ non pensi mai, scultore né artefice raro, potere aggiungere di disegno né di grazia, né con fatica poter mai di finezza, pulitezza e di straforare il marmo tanto con arte, quanto Michelagnolo vi fece, perché si scorge in quella tutto il valore et il potere dell’arte”

In queste poche righe, Vasari ci mostra la grandezza di quest’opera.

La struttura è piramidale e presenta, a differenza di quanto avviene nella Pietà Rondanini, il corpo morto di Cristo come “cullato” tra le braccia della Vergine, le gambe e il braccio di Cristo sono inerti e gli abiti della Vergini sono ricchi di panneggi e hanno morbide forme che possiamo osservare nelle numerosissime piaghe delle vesti. Lei lo osserva incredula e dolente, lo contempla, è una madre che ha visto il figlio nascere e lo ha cullato tra le braccia e lo vede a lei tornare morto ma sempre a cullarlo tra le sue braccia.

Tutte e tre le opere sono state realizzate in marmo, la prima Pietà presenta una perfetta levigatura nella Pietà Bandini il marmo è meno levigato e sembra quasi grezzo nella Pietà Rondanini.

L’uso del “non finito” di Michelangelo vuole rappresentare il rapporto tra l’assoluto, tra qualcosa di finito e che quando fatto a regola d’arte ci appare come qualcosa di perfetto oltre il quale non si potrebbe forse andare con qualcosa che se pur “non finito” può comunque essere qualcosa che superi il finito. Nel “non finito” infatti sta allo scultore e a chi “legge” cogliere la raffinatezza, la grandiosità espressiva, il messaggio, e il/i signicato/i dell’opera. Credo che proprio ciò che non sia finito sia ciò che ci permetta di rimanere catturati dall’opera.

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